domenica 7 dicembre 2008

Ore 7:00.
Beep Beep Beep. Un suono fastidioso. Odioso. Chissà’ poi chi mai l’avrà’ brevettato. Dicono che non faccia bene svegliarsi in questo modo. La sua mano cerca a tentoni l’ elemento di disturbo. Lo trova. Vorrebbe impedirgli di continuare a suonare, perché non vuole assolutamente alzarsi, non vuole ricordare chi è, dove si trova e perché..non vuole ricordare com’ è il mondo in cui vive. Preferisce continuare il suo sogno, era cosi’ entusiasmante il caldo palmo di una mano posata sul dorso della sua, strette in un abbraccio dall’ intreccio delle dita. Questa è la sua immagine ideale di amore, quell’ amore che dovrebbe pervadere ogni singolo angolo del mondo,ogni singolo individuo, ogni singolo viso e cuore, ma che l’ uomo distrugge ogni giorno, disdegna, umilia.
Non riesce a far smettere quel battagliero arnese, quindi rassegnata e un po’ imbronciata, con gli occhi ancora socchiusi, si alza, accende la luce, si guarda allo specchio e due lacrime silenziose le rigano il viso pallido. Si sente uno schifo e questa volta non per quello che vede, ma ancor peggio, per quello che non vede ma sa che c’è, e che nessun altro conosce apparte lei.
Brutto. Buio. E angoscioso. Un periodo cosi’ proprio non se lo aspettava alla sua eta’, le salgono le lacrime agli occhi per qualsiasi sciocchezza..quelle lacrime sono il rigetto della sua anima, sono il segno di una ferita aperta e fresca che non accenna a risanare.
Stringe i pugni più’ che può’, le mani gelide come sempre, si arrossano, ne porta una alla bocca lentamente, quasi meccanicamente, lo sguardo perso nel vuoto. Vi affonda duramente i denti fino a non sentire più’ il dolore, per spezzare i gola quei singhiozzi, quel grido disperato..quante volte lo aveva fatto nel silenzio di quella camera, quante volte si era sentita legata, in gabbia, si era sentita mancare l’ aria e non riconoscendosi si era stretta forte a se più’ che poteva per paura di perdersi in quell’ attimo.
Era sola, lei e nessun’ altro in quella camera: lei e nessun’ altro nella sua esistenza opaca. Tanti volti, tante voci..nessuno familiare, nessuno che accennasse a riportarla a casa. “Nothing lasts forever and its hard to hold a candle in the cold novembre rain”..tutto aveva un inizio e una fine, e allora che senso aveva pensare di poter essere felici? Perché affannarsi nella ricerca di qualcosa di irraggiungibile? Una volta, chi pensava le avesse spezzato le ali, le aveva detto : “Pensiamo di poter imbottigliare i sentimenti, per averli sempre a nostra disposizione, pensiamo che le persone siano nostre..col tempo ti accorgi che davvero il tempo è il nostro unico bene!”..eh si! Saggio citare Seneca..ma lei già’ lo sapeva questo, lo aveva sperimentato sulla sua pelle..sapeva che neanche quel corpo, quella mera esistenza era di sua proprietà’: per questo aveva deciso di dedicarsi a tutto, meno che a se stessa. Gli altri. Magari loro avrebbero potuto essere felici. Il mondo, che lei tanto odiava, la reclamava, e lei rispondeva alla chiamata perché lo amava, ma non quel mondo che la parola designa nell’ uso corrente..no..quello che era stato dimenticato,che era stato chiuso nel cassetto dei ricordi, pronto ad esser tirato fuori a loro piacimento..amava quei volti, quella gente, perché lei si sentiva una di loro, pur se molto più’ fortunata. Aveva spesso pensato che l’ uomo non potesse vivere rinunciando ad essere uomo.. “Un uomo fà quello che è suo dovere fare,quali che siano le conseguenze personali,gli ostacoli,i pericoli o le pressioni”..frase bellissima che lei ricordava, non tanto per il suo autore, quanto per l’ uomo di cui questa divenne citazione preferita, quello stesso uomo che tanto diede al suo paese..e ancora “il vero amore consiste nell’ amare cio’ che non ci piace per poterlo cambiare”..lei quel paese lo odiava, ma lo amava allo stesso tempo e sperava di poter fare qualcosa di buono per renderlo migliore, per portare avanti il sogno di tanti.
Questi i suoi desideri, i suoi propositi. Ma nella realta’? Nella realta’ quella persona non esisteva.
Al di fuori di quella camera lei non era nulla. Era un ibrido. Incapace di amare, incapace di darsi agli altri, sterile e insensibile. Egoista. Egocentrica. Ecco, continuava a perder tempo a pensare ai suoi difetti, come se al mondo questo fosse di aiuto, invece di darsi da fare. Una perfetta sconosciuta per sé e per gli altri. Ce l’ aveva sempre con tutti. Ce l’ aveva soprattutto con se stessa. Si odiava. Non capiva perché una simile persona fosse venuta al mondo. Al mondo non ne servivano di persone come lei. E tutti gli altri? Quelli che l’ avevano profondamente ferita? Lei non era affatto migliore di loro. Era come loro. Era una ragazza tra le tante. Probabilmente peggiore.
Guardava quell’ immagine riflessa e si sentiva profondamente lontana da quel corpo, quegli occhi la fissavano spenti. Tutti avrebbe voluto essere tranne quella ragazza li’. Perché proprio lei? Nella vita non avrebbe mai combinato nulla di buono. La sua era mediocrita’ a tutto tondo. Mediocre la fisicita’. Mediocre la mente. Mediocre il cuore. Sola. Sola doveva restare. Si era messa all’ angolo di sua sponte. E invece no. Lei sola non ci voleva stare. Lei voleva solo sentirsi una persona come le altre, con pregi e difetti. Voleva solo qualcuno che le mostrasse una ragione plausibile per continuare. Voleva essere capita. Era stufa di sentirsi sbagliata e fuori posto sempre e ovunque. Voleva qualcuno che la stringesse talmente forte da non sentir piu’ dolore, da non sentir piu’ nulla tranne il calore di un’ altra persona.
Anche quella mattina, mentre il mondo andava a rotoli, lei si era concessa la sua buona dose di egocentrismo. Intanto il tempo era passato pero’, di certo non se ne stava li’ ad aspettare che lei si decidesse e si desse una mossa. Si scuote, si asciuga il viso e in tutta fretta si prepara. Indossa la sua giacca, si avvolge nella sua sciarpa preferita e si infila le cuffiette nelle piccole orecchie: per i prossimi 8 minuti puo’ dimenticarsi di tutto e tutti. Poi quando sara’ costretta a tornare alla realta’, si vedra’..per ora il suo unico cruccio è perdersi nel nulla.

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